RECENSIONI

Toni Cosenza ha presentato al Museo Nazionale degli Strumenti Musicali a Roma lo spettacolo “From Naples to Broccolino”, dedicato ai canti e alle musiche dell’emigrazione

 Presentata a Roma, al Museo Nazionale degli Strumenti Musicali, l’anteprima dello spettacolo musicale e teatrale, scritto e condotto da Toni Cosenza, nel quale il cantato e il recitativo s’intrecciano per dipanare l’intreccio di una storia strettamente connessa alle vicende dei flussi migratori italiani nei cinque continenti.

Cosenza, attore (magnifico interprete di Pulcinella in abiti borghesi), cantante e musicista, uno fra gli animatori storici del Folkstudio romano, principale propulsore della musica popolare in Italia e punto di riferimento per quanti ricercavano le fonti della nostra cultura musicale in un momento in cui si produceva un corto circuito con l’imporsi del rock e della pop in Italia, con la conquista totale del mercato italiano da parte dell’industria discografica, con in testa la RCA. 

Napoletano verace, Cosenza vanta un pedigree di tutto riguardo: chitarra classica con il grande Mario Gangi al Conservatorio San Pietro a Maiella di Napoli; riscoperta di antiche melodie e studio “del dialetto”, supportato dal saggio dell’Abate Galiani; spettacoli teatrali e performance, tra cui una storica “tammurriata” nei panni di un Pulcinella dalla mimica innovativa e coinvolgente.

In “From Naples to Broccolino”, Cosenza ripercorre la storia dei nostri emigranti, in particolare negli Stati Uniti, ove i connazionali di prima, seconda e terza generazione oggi superano i 25 milioni. Le canzoni e le musiche dello spettacolo seguono un percorso temporale rimarcando i diversi momenti dei flussi emigratori e del loro stabilirsi e ambientarsi in terra straniera, ma sempre con il cuore e la mente rivolte alla madre Patria. Vengono così ricordati il poeta e librettista Lorenzo Da Ponte, primo insegnate di italiano al Colombia College di N.Y.; i musicisti italiani chiamati dal presidente Jefferson a comporre la banda musicale dei marines; e finanche il trombettiere siciliano di Custer, unico del Settimo Cavalleria a salvarsi nella battaglia di Little Big Horn, vinta dalla coalizione Cheyenne-Sioux comandati da Toro Seduto e Cavallo Pazzo -  figure guerriere elevate a statura di eroi omerici come Achille ed Ettore -  che vendicarono il massacro di donne vecchi e bambini perpetrato dalle giubbe blu. Cosenza ha evitato di spingere la molla struggente della nostalgia per irretire il pubblico, che se poteva contagiare i più anziani avrebbe lasciato indifferenti i più giovani le cui preferenze vanno ad altri ritmi. La contaminazione blues, ragtime, jazz, tango, samba e cucaracha, ha proiettano quei sentimenti in universi di suoni propri dei nostri tempi. In uno degli interventi recitativi della performance - lo spettacolo è anche teatro – Toni, parlando del jazz, ha ricordato che in Italia, durante il regime fascista, tale musica era proibita perché espressione di razza inferiore, quella degli schiavi “negri”. Si ricorderà, lo testimonia il film “Via con il vento”, come i neri rispondono “sì badrone, si badrone” e ciò per rimarcare la loro inferiorità. Gli appassionati di jazz dovevano suonare negli scantinati, lontano dalle orecchie della polizia e dei capi fabbricati. Un palo, posto fuori dal locali, era di guardia per segnalare eventuali pericoli. I componenti della storica Roman New Orleans Jazz Band uscirono allo scoperto solo dopo la liberazione della città da parte della V Armata americana del Generale Clark.  Ma tale fu l’attrazione del jazz che il regime dovette chiudere un occhio e anche le orecchie per la musica di derivazione jazzistica che fu chiamata “sincopata” e della quale fu esponente di rilievo Natalino Otto. Prende parte allo spettacolo, oltre a Cosenza, Alfredo Messina al piano. Direzione artistica di Tonino Tosto.

Emigranti anche noi

In un momento in cui si assiste a una sorta di amnesia storica che non riguarda solo le giovani generazioni ma purtroppo, anche quelle che avrebbero dovuto conservare la memoria e trasmetterla ai loro discenti, si rende necessaria una parentesi per cogliere appieno la messinscena di Toni Cosenza, che si attiene strettamente a verità storiche incontestabili, rese attraverso la canzone e le musiche che richiamano l’emigrazione e la nostalgia per la patria lontana.

Molti giovani si chiederanno ma di quale paese si tratta, convinti che l’Italia sia stata sempre tra gli otto paesi più industrializzata del mondo, come quella che hanno conosciuto e in cui vivono. Della condizione del nostro paese, più di qualsiasi testimonianza orale, assumono valore probante le immagini dell’Italia prebellica e del dopoguerra, non quelle, ovviamente, delle città distrutte dai bombardamenti e dal passaggio del fronte dal Sud verso il Nord. L’Italia in quegli anni era un paese prevalentemente agricolo in lenta fase d’industrializzazione. Bastano queste cifre: all’entrata in guerra la produzione dell’acciaio era attestata su un milione e ottocentomila tonnellate, a petto della Francia che ne produceva ventidue milioni. L’Inghilterra trenta, la Germania trentacinque, gli Stati Uniti 180, con una potenzialità che poteva raggiungere i 240 milioni! Sono cifre che parlano da sole sul divario tra i paesi industrializzati e il nostro.

Un dato per chi ha dimenticato o non gli è stato detto: alla fine del conflitto la Basificata aveva il triste primato dell’analfabetismo che toccava circa il 70 % della popolazione. Le condizioni disastrose del paese alla fine del conflitto, la disoccupazione e la miseria costrinsero molti italiani - i meridionali soprattutto - all’emigrazione interna (Liguria, Piemonmte Lombardia), in Europa e in quella transoceanica, La Calabria assiste nel giro di pochi anni a un esodo di dimensioni bibliche oltre 800 mila cittadini abbandonano i loro paesi per cercare fortuna in altre terre lontane. Molte donne meridionali, in particolare calabresi, hanno vissuto per decenni nella condizione di “vedove bianche”.

Quando si parla di miracolo economico di solito - se non sempre - non è posto nel giusto rilievo il contributo dell’emigrazione in terre straniere. Le rimesse dei nostri connazionali alle famiglie erano in valuta pregiata, e in quantità di tutto riguardo, che fu utilizzato per comprare le materie prime e i macchinari necessari all’industria del Nord. Nei loro paesi d’origine invece fu incrementata l’edilizia sia per rammodernare vecchie case fatiscenti sia per costruirne di nuove, sempre con i soldi degli stessi emigranti, ma non con quelli dello Stato o con i mutui concessi dalle banche, che allora operavano per il drenaggio della liquidità meridionale per incrementare lo sviluppo del triangolo industriale, non diversamente dai tempi dell’Unità, quando la circolazione monetaria in oro del Regno di Napoli fu sostituita da quella cartacea. Una misura che unita alla legge sul grano del 1864, che assicurava al latifondo una rendita annua sicura, ricacciava il meridione nei tempi bui della spoliazione spagnola del paese.

Grazie allo sforzo di tutto il paese, al prestito per la ricostruzione, alle rimesse degli emigranti, il paese curò le ferite della guerra e diede inizio alla sua trasformazione industriale, a dotarsi di un’industria chimica, che permise nel 1956, grazie ai concimi azotati, l’autosufficienza granaria.  Le rese passarono, per i grani teneri, da ventidue a 40 quintali per ettaro, per i grani duri, da otto a 15 quintali. Un risultato storico della nostra giovane democrazia che aprì la strada al miracolo economico, migliorando le condizioni generali del paese a un livello mai conosciuto nella sua storia. Un miracolo che non può essere disgiunto della partecipazione dei cittadini alla vita politica, e soprattutto al sistema proporzionale che agganciava la politica alle reali esigenze del paese. Le più importanti conquiste sociali si ebbero in quei decenni straordinari nei quali gli elettori potevano scegliere i loro rappresentanti, e il parlamento rappresentare in concreto la volontà popolare.

Marco Prandi


 

From Naples to Broccolino

 

Il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali ha ospitato lo spettacolo di Toni Cosenza, chitarrista e cantante napoletano di consolidata esperienza.

 

Le sale della prestigiosa istituzione romana hanno così accolto per una sera il pubblico accorso alla prima di “From Naples to Broccolino”.

 

Scritto e interpretato dallo stesso Cosenza, assecondato al pianoforte dal maestro Alfredo Messina, il lavoro tende a sdrammatizzare il tema dell’emigrazione evidenziando comunque gli aspetti drammatici vissuti da milioni di connazionali nelle Mmeriche tra il 1880 e 1930. Toccante in proposito la ballata di Sacco e Vanzetti, seguita dall’intervento del giornalista e drammaturgo Franco Portone, a suo tempo Coordinatore Generale del Comitato Internazionale voluto da Pietro Nenni, di cui facevano parte Mitterand, Soares, Ingrao, Terracini, Craxi, Berlinguer, Domenico Purificato e molti altri fra artisti e intellettuali, che si batté aspramente per la revisione del processo, ottenendo la definitiva e completa riabilitazione dei due anarchici italiani.

 

Aspetti negativi e positivi, dunque, anarchici e comunisti, giudici corrotti e latifondisti senza scrupoli, sfruttatori e sfruttati, ma soprattutto gente onesta e faticatora, cantanti e macchiettisti, nel testo e nelle canzoni, alcune poco note, interpretate con la solita bravura da Toni Cosenza. Canzoni scritte in terra d’America tra il 1880 e il 1930 da improvvisati autori e cantanti. Come quelle di Giuseppe De Laurentiis e Eduardo Migliaccio, in arte “Farfariello”, nativo di Cava de’ Tirreni. Personaggi che in fin dei conti ben figurano se accostati ai grandi della canzone umoristica napoletana che furono Pasquariello, Gill, Maldacea e Peppino Villani.

“Ricco di swing ne viene fuori uno spettacolo coinvolgente - sottolinea Tonino Tosto, Art Director del progetto - vivacizzato com’è dagli arrangiamenti jazz del maestro Messina e dello stesso Cosenza, che di volta in volta contaminano, se possiamo dire così, l’antico repertorio con spruzzatine di blues, ragtime, charleston, honky-tonky, tango e cucaracha. Contaminazioni - aggiunge Tosto, impegnato tra l’altro come attore nella versione teatrale de “In nome del Papa Re” di Luigi Magni, per la regia di Antonello Avallone - che fanno volare alto il lavoro fin qui svolto dal gruppo, destinato quest’anno a New York, Buenos Aires, e San Paolo del Brasile, dove forte è la presenza degli italiani”.

 

(Antonio Bino - Euro Travel News)

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